Hai sottoscritto un contratto di finanziamento o di mutuo e pensi che il tasso sia troppo elevato? Attenzione, la Banca potrebbe aver applicato al tuo contratto un tasso di interesse superiore a quello che hai accettato!
Non di rado nel versare alla Banca le rate del proprio finanziamento o del mutuo si ha la sensazione di corrispondere un importo eccessivo di interessi, ebbene, gli ultimi orientamenti giurisprudenziali confermano che questa sensazione potrebbe essere corretta.
In molti casi può accadere, infatti, che l’Istituto di credito indichi in contratto il solo TAN che individua il tasso di interesse corrispettivo applicato al rapporto; in altre parole, l’importo di interessi che compone la rata.
La norma che disciplina la materia è, in primis, l’art. 117, co. 4, del Testo Unico Bancario, il quale impone alle Banche di indicare nei contratti bancari il “tasso di interesse”. È evidente, infatti, che la ratio della disposizione normativa sia quella di stabilire con certezza quale sia l’importo dovuto a titolo di interessi corrispettivi durante l’ammortamento del mutuo, al fine di delineare con chiarezza l’oggetto del contratto.
Orbene, nell’ipotesi in cui la rata sia determinata con scadenza diversa dall’annualità, la quota di interessi che effettivamente verrà pagata annualmente dal mutuatario cresce rispetto a quella ricavata dall’applicazione del solo Tan indicato nel contratto.
Per tale ragione ai fini della corretta applicazione della norma occorre indicare non solo il TAN ma anche il TAE del contratto
Il Tasso Annuo Effettivo, infatti, indica il tasso di interesse corrispettivo effettivamente praticato dall’Istituto di Credito, tenuto conto della ripartizione delle rate durante l’anno (mensile, trimestrale, semestrale, annuale) e del regime finanziario applicato.
Non vi è dubbio che ciò si traduca in un danno per il contraente che si troverà a corrispondere interessi di gran lunga maggiori rispetto a quelli che avrebbe versato se il tasso effettivamente applicato fosse stato quello indicato nel contratto.
La Banca ha quindi violato la disposizione di cui all’art. 117, co. 4, Tub, in quanto il contratto oggetto della presente opposizione non indica il reale tasso di interesse corrispettivo dovuto dal mutuatario.
Sul punto occorre citare l’orientamento della CORTE D’APPELLO DI BARI che, con sentenza n. 1890 ha evidenziato la scorrettezza della condotta della Banca che non indica il corretto tasso di interesse del contratto né evidenzia il regime finanziario applicato al rapporto.
La sentenza appena richiamata è estremamente chiara nello statuire la nullità della clausola pattizia degli interessi per indeterminatezza e per inosservanza della forma scritta ad substantiam in caso di pattuizione del solo T.A.N. senza pattuizione del regime finanziario di capitalizzazione degli interessi; in caso di subdola applicazione del regime composto, è necessario rideterminare il dare avere del mutuo previa rimodulazione del piano di ammortamento in regime semplice con contestuale applicazione dei tassi BOT ex art. 117 TUB.
Ciò in quanto, “nel caso di omessa indicazione del regime finanziario di capitalizzazione, non è possibile conoscere ex ante il monte complessivo degli interessi cui il finanziato si è obbligato; né vale ad integrare il requisito della determinatezza la predisposizione del piano di ammortamento, il quale costituisce solo l’esito numerico finale dell’applicazione di “criteri” e “parametri” di calcolo del tasso di interesse (quali, in particolare, il regime finanziario ed il metodo di computo degli interessi utilizzati) mai esplicitati in contratto, né obiettivamente individuabili dalla documentazione ad esso allegata e dunque non conoscibili all’atto di assunzione dell’obbligo negoziale.”
La divergenza tra T.A.N. e T.A.E., in difetto di previsione pattizia del T.A.E. e del regime finanziario applicato, rende indeterminata la clausola relativa al tasso di interesse, dal momento che l’individuazione del tasso effettivo di interesse viene affidata ad un artificioso ed occulto incremento del tasso pattuito conseguente all’applicazione della formula dell’interesse composto nella fase di elaborazione del piano di ammortamento sulla base di un regime finanziario (quello dell’interesse composto) non previsto in contratto (cfr., sul punto, T. Massa, 3 agosto 2020; T. Lucca, 10 giugno 2020; App. Campobasso, 5 dicembre 2019; T. Cremona, 28 marzo 2019; T. Bari 29 ottobre 2008).
A ben vedere, a parità di importo finanziato, di T.A.N. contrattuale, di durata del piano di rimborso e di numero di rate, due prestiti, a seconda del regime di capitalizzazione, produrranno un costo del tutto diverso, che risulterà decisamente più alto in regime di capitalizzazione composta, mentre sarà indiscutibilmente più ridotto in regime di capitalizzazione semplice, e la differenza del monte interessi sarà costituita, per l’appunto, dalla componente anatocistica generata dall’impiego del regime composto.
Peraltro l’ammortamento a rata costante viola l’art. 1283 c.c., perché determina, nel regime di capitalizzazione composta adottato – ma non dichiarato – dall’istituto di credito, un’accelerazione nella crescita degli interessi rispetto ad una loro crescita proporzionale, realizzando, per questa via, nella successione di scadenze predeterminate nei piani di ammortamento, la loro capitalizzazione e dunque una spirale ascendente del monte interessi.
Al fine di appurare l’errata indicazione del tasso di interesse e l’omessa indicazione del regime di capitalizzazione composta degli interessi, occorre effettuare una perizia econometrica sul contratto di finanziamento e/o di mutuo che potrà essere redatta da professionisti del nostro studio. L’eventuale riscontro di irregolarità contrattuali potrà essere fatto valere nei confronti dell’Istituto di credito al fine di poter ottenere la restituzione di quanto versato in eccedenza negli anni dal cliente.
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