Com’è oramai tristemente noto, su tutto il territorio nazionale per effetto dei DPCM dell’8, del 9 e dell’11 marzo 2020:
- gli spostamenti delle persone in ingresso, in uscita o anche all’interno del territorio sono consentiti solo per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute.
- sono sospese tutte le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari, per le farmacie e parafarmacie, per i tabaccai per le edicole e per i venditori di certi generi di prima necessità; la norma si applica sia a esercizi di vicinato sia nell’ambito della grande e media distribuzione;
- sono sospese tutte le manifestazioni organizzate, nonché gli eventi in luogo pubblico o privato (..) quali, a titolo d’esempio grandi eventi, cinema, teatri, pub, scuole di ballo, sale giochi, sale scommesse e sale bingo, discoteche e locali assimilati; nei predetti luoghi è sospesa ogni attività.
- sono sospese le attività di ristorazione e bar;
- sono sospese le attività di palestre, centri sportivi, piscine, centri natatori, centri benessere, centri termali, centri culturali, centri sociali, centri ricreativi;
- viene raccomandato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte a domicilio.
Ebbene, come prima riflessione, preme evidenziare che con un singolo atto, sono stati compressi diritti costituzionalmente tutelati, come non è mai successo nella storia recente della nostra Italia.
La libera circolazione, come i diritti di espressione e organizzazione, sono connaturati a una società democratica e sono stati anch’essi “messi in quarantena”.
Pur vero che la nostra Costituzione prevede (articolo 16) che per ordine pubblico o tutela della salute si possa sospendere temporaneamente la libera circolazione delle persone. Solo che quella norma era stata pensata dai nostri costituenti per situazioni circoscritte geograficamente non per l’intera nazione e, tra l’altro, nemmeno adombrata al tempo del terrorismo. Questo crea un precedente che non può passare sotto traccia.
Oltre questo aspetto, non di poco conto, è evidente l’impatto drammatico che simili misure hanno, in primis, sugli esercenti delle attività che devono necessariamente rimanere chiuse ex lege, nonché sulle attività solo indirettamente coinvolte dai divieti per effetto delle restrizioni alla circolazione degli avventori e clienti e delle modalità di fruizione dell’immobile su cui insiste l’attività commerciale e/o di produzione.
Da questo deriva la preoccupazione di molti commercianti in ordine alle obbligazioni contratte e tra tutte quelle della locazione come voce di spesa rilevante.
Nell’uso comune il godimento dei locali è perlopiù acquisito con la stipula di un contratto di locazione o di affitto di ramo d’azienda.
Quindi, cosa è possibile fare in questa situazione in cui ope legis, la possibilità di godere del locale è negata o indirettamente compromessa?
È possibile sospendere il pagamento dei canoni pattuiti, rideterminare il canone o recedere dal contratto?
È possibile innanzitutto invocare la possibilità di recedere per gravi motivi ma con le dovute cautele ed analizzando caso per caso. La legge sull’equo canone (L. 392/78) prevede infatti che, a prescindere da qualsiasi previsione in senso contrario del contratto, qualora ricorrano gravi motivi, il conduttore può sempre recedere dalla locazione, con un preavviso di sei mesi.
Per gravi motivi, la giurisprudenza ha tradizionalmente identificato quelle circostanze sopravvenute e imprevedibili, al di fuori del controllo del conduttore, che rendono non più sostenibile la prosecuzione della locazione.
Orbene, la pandemia rientra ampiamente in tali caratteristiche, quantomeno nelle prime due, viceversa spetterà al conduttore provare che il calo dei consumi o la forzata chiusura del locale sia di tale gravità da rendere intollerabilmente gravosa la prosecuzione della locazione.
Detto questo nei fatti la giurisprudenza ha concesso raramente questo rimedio pertanto è necessario valutare il caso specifico.
Inoltre questa norma non consente solo di recedere dalla locazione ma non dà diritto a rinegoziare il canone anche se, nella mia esperienza, molto spesso una ragionevole offerta di revisione del canone da parte del locatore consente di preservare la locazione.
Altro principio giuridico che soccorre il conduttore è quello della “forza maggiore”, che potrebbe essere invocato per sospendere il pagamento dei canoni di affitto o di locazione.
A tal fine si richiamano le previsioni del codice civile in ordine all’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause non imputabili alle parti, e quindi:
Con riferimento alla sorte delle singole obbligazioni:
-l’art. 1256 del codice civile che prevede che (1) l’obbligazione si estingua quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa (definitivamente) impossibile; (2) laddove l’impossibilità sia invece solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non sia responsabile del ritardo nell’adempimento; anche in tal caso l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
Con riferimento agli effetti complessivi nell’ambito di un contratto con prestazioni corrispettive:
-l’art. 1463 del codice civile che prevede che la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non possa chiedere la controprestazione, e debba restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
-l’art. 1464 del codice civile che prevede che quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte abbia diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e possa recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
Le previsioni codicistiche poc’anzi citate possono trovare la loro colonna portante nel Decreto PCM, e non vi può esser dubbio come già riferito che l’epidemia e i provvedimenti volti al suo contenimento rispondano ai requisiti di imprevedibilità ed inevitabilità codificati dalla giurisprudenza impegnata ad analizzare gli eventi che rendono l’inadempimento impossibile e non ne consentano l’addebito alla parte inadempiente.
Unica ipotesi di eccezione può riguardare quei contratti stipulati quando erano già noti e prevedibili gli effetti del Coronavirus.
Per comprendere appieno l’applicabilità degli articoli citati è però necessario approfondire il concetto di “impossibilità” per la giurisprudenza.
Recente Sentenza di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047) afferma il principio che “l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”.
Questa indagine è necessaria perché non è scontato ritenersi che i divieti disposti dal Decreto, incidano sulla prestazione principale del locatore, ovvero la messa a disposizione di locali genericamente idonei all’uso che ne è consentito ai sensi del contratto. Il Decreto infatti incide sulla prestazione del conduttore indipendentemente dalla prestazione del locatore. Ed ancora, non pare a chi scrive scontato, che i divieti posti in essere possano inibire qualsivoglia attività funzionale del locale, nonché vi sia correlazione diretta con l’inattività del conduttore, posto che peraltro il Decreto ha effetti temporalmente limitati.
Ancora una volta quindi è necessario valutare caso per caso, identificare la “causa del contratto”, intesa (secondo un orientamento consolidatosi in tempi recenti) come “causa in concreto” ovvero lo scopo pratico del contratto costituente sintesi degli interessi che il negozio è concretamente diretto a realizzare. Pertanto laddove un evento non prevedibile e non imputabile renda non più perseguibili le finalità condivise o riconoscibili che hanno motivato le parti a stipulare il contratto, sostanziandone la causa in concreto, si verifica pur sempre un’impossibilità della prestazione, con conseguente applicazione della relativa disciplina.
Ai fini probatori, ove chiamati in giudizio per la mancata corresponsione dei canoni relativi al periodo di interesse, sarà necessario fornire la prova rigorosa che l’applicazione delle disposizioni ha determinato l’impossibilità di fatto di poter fruire della prestazione del locatore. Questo vorrà dire fornire la prova che l’attività è stata chiusa e non vi sono stati incassi. Ove in condizione in cui questi siano stati di molto inferiori a causa delle misure relative al mantenimento delle distanze di sicurezza tra i clienti in relazione alle caratteristiche intrinseche dell’immobile, sarà possibile richiedere una riduzione del canone.
In conclusione, pur prudenzialmente rimettendo la valutazione al caso specifico, ritengo che ove nei contratti di locazione sia stata condivisa ed espressa la funzionalità e questa sia stata preclusa direttamente dal Decreto è possibile invocare il principio di “impossibilità sopravvenuta” e di “forza maggiore”, con produzione degli effetti limitatamente al periodo di interesse. Ove inoltre queste limitazioni dovessero essere rinnovate potrà anche valutarsi il diritto di richieste di rinegoziazione dei contratti basate sulla minaccia di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 del Codice Civile o di recesso per gravi motivi ai sensi dell’art. 27, u.c., della L. 392/1978 (ove non legittimamente derogato nel contratto).
Aggiornamento DL Cura Italia
Decreto Legge Cura Italia, art. 91
Art. 91 (Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici) 1. All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”. All’articolo 35, comma 18, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e successive modificazioni, dopo le parole: “L’erogazione dell’anticipazione” inserire le seguenti: “, consentita anche nel caso di consegna in via d’urgenza, ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del presente codice,”.
La norma sopra richiamata introdotta a causa della nota emergenza da COVID-19. Ebbene alla luce di questa, è possibile valutate l’esclusione della responsabilità del debitore per inadempimento e il conseguente obbligo al risarcimento del danno.
Consentita inoltre, negli appalti pubblici, l’anticipazione del prezzo anche nei casi di consegna in via d’urgenza.
A tal proposito l’art. 91 del Decreto Legge 18 marzo 2020, cd. “Cura-Italia”, introduce due previsioni rilevanti per i rapporti contrattuali, anche relativi a lavori, forniture e servizi.
La prima riguarda la responsabilità del debitore ai sensi dell’art 1218 c.c. (“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”), per la quale il Decreto Legge è valutata l’esclusione della responsabilità del debitore ove l’attività di questi risulti “compressa” dalle misure di contenimento da Covid-19, anche in ordine all’applicazione di eventuali decadenze o penali contrattualmente previsti per ritardati o omessi adempimenti.
Ebbene è possibile quindi valutare l’inadempimento, totale o parziale che sia, sotto il “filtro” delle misure definite dal Governo con i recenti DPCM e adottate dalle parti contrattuali, volte al contenimento della pandemia. Talché tali previsioni potrebbero escludere e/o ridimensionare – valutando caso per caso- la responsabilità in capo al debitore per il suo ritardato o mancato adempimento. Orbene, tale principio appare validato anche nei contratti di appalto, come nel caso di sospensione unilaterale dei cantieri a causa delle difficoltà di garantire la sicurezza dei lavoratori o di organizzare l’azienda (difficoltà di reperire strutture alberghiere o vitto in caso di trasferte, inadempimenti da parte del subappaltatore etc). Tanto io ordine anche a quanto disciplinato dal secondo capoverso dell’art. 91, il quale amplia la previsione di erogazione dell’anticipazione del 20% del prezzo del contratto pubblico (erogazione che il committente è tenuto ad effettuare entro 15 gg dall’inizio dell’effettiva prestazione) anche ai casi di affidamento in via d’urgenza.
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Art. 65 DL CuraItalia
Simbolico sostegno per i conduttori deriva dal citato articolo ivi riportato,
Art. 65 (Credito d’imposta per botteghe e negozi) 1. Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1. 2. Il credito d’imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 ed è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. 3. Agli oneri derivanti dal presente articolo si provvede ai sensi dell’articolo 126.
Sicché in ordine a quanto statuito lo Stato prevede un obolo per il solo mese di marzo per quanti avranno corrisposto la mensilità a titolo di canone, sotto forma di credito d’imposta.