FIDEIUSSIONI NULLE, LA CASSAZIONE INTERVIENE A FAVORE DEI CLIENTI BANCARI.

Hai firmato una fideiussione per garantire un prestito concesso ai tuoi figli? Oppure sei un imprenditore che per ottenere un prestito per finanziare la propria azienda ha sottoscritto una garanzia personale? Controlla il contratto sottoscritto, potresti essere liberato da ogni obbligo e obbligazione contratta con la banca!


Con la sentenza 30 dicembre 2021, n. 41994 (testo in calce), la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha messo fine ad un annoso dibattito sulla validità delle fideiussioni considerate conformi allo schema contrattuale “suggerito” dall’Abi Associazione Bancaria Italiana nel quale comparivano tre clausole notevolmente svantaggiose per la clientela bancaria. In concreto, l’Associazione Banche Italiane nel corso del 2003 aveva redatto uno schema di contratto tipo di fideiussione omnibus che gli Istituti di credito hanno iniziato (ma in realtà già lo adoperavano) ad utilizzare in maniera non solo conforme, ma anche uniforme.
Proprio tale condotta, a parere della Banca d’Italia costituiva un illecito concorrenziale, cioè un comportamento contrario alla normativa antitrust (Legge n. 287/1990) in quanto ritenuto restrittivo della concorrenza (Provvedimento n. 55/2005). Nei fatti, il cliente bancario che si recava presso gli sportelli dei vari Istituti di credito per valutare l’offerta contrattuale migliore, trovandosi di fronte sempre lo stesso schema di contratto precostituito dall’Abi (a seguito di un’intesa a monte del ceto bancario), era costretto ad accettare clausole a lui sfavorevoli.


Le clausole incriminate sono le seguenti:
la clausola di reviviscenza secondo cui il fideiussore deve “rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo” (art. 2);
la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c. a mente della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato” (art. 6) la clausola di sopravvivenza secondo la quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).

Orbene, nessun dubbio sulla illiceità dell’intesa a monte concretatasi con la stesura del “modello Abi” del 2003, la questione controversa ed oggetto dell’intervento della Cassazione riguardava le sorti del contratto a valle, cioè quello sottoscritto dal singolo cliente bancario.


Sul punto si erano creati diversi orientamenti giurisprudenziali di cui la sentenza dà conto. Secondo un primo indirizzo, la soluzione preferibile è la nullità totale del contratto di fideiussione a valle dell’intesa vietata; secondo un altro, è preferibile la tesi della nullità parziale delle clausole del contratto.


Dopo aver ricostruito i vari indirizzi giurisprudenziali e dottrinali in merito alle tutele riconoscibili al cliente-fideiussore, le Sezioni Unite ritengono di aderire alla tesi della nullità parziale. La ratio dell’art. 2 c. 2 lett. a) legge antitrust consiste nel creare un bilanciamento tra libertà di concorrenza e tutela delle situazioni giuridiche dei soggetti diversi dagli imprenditori. Infatti, la legge antitrust ha come destinatari, non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, come il consumatore finale (Cass. SS.UU. 2207/2005).

Il destinatario, quindi, è legittimato ad esperire sia la tutela reale (nullità del contratto di fideiussione a valle) che quella risarcitoria. Inoltre, l’art. 2 c. 3 legge cit. commina la nullità delle intese vietate ad ogni effetto, con ciò facendo riferimento anche ai contratti che realizzano l’intesa vietata.


Ne deriva che, qualora una di queste clausole fosse presente nel contratto di fideiussione sottoscritto dal cliente bancario, tale clausola sarebbe nulla e in alcune ipotesi questo potrebbe comportare la caducazione dell’intero contratto a valle e la conseguente liberazione del fideiussore.

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La fideiussione bancaria: guida completa

Ai tempi odierni, i consumatori privati e le imprese tendono sempre più a fare degli acquisti o ad investire attraverso la contrazione di finanziamenti a breve o a medio/lungo termine, che consente loro di dilazionare nel tempo il pagamento dovuto. Si tratta di veri e propri debiti per l’impresa, che possono riguardare l’avviamento o il prosieguo di una attività commerciale, come l’acquisto di un capannone industriale per stabilire la sede dell’impresa o di un macchinario importante per l’attività imprenditoriale, o per la famiglia, che stipula un mutuo per l’acquisto di una casa o contrae un finanziamento per l’acquisto di un’auto. In termini giuridici, siamo di fronte ad una vera e propria obbligazione, in base alla quale il debitore si impegna ad adempiere il proprio debito nei confronti del creditore.

Può però accadere che, per le più diversificate ragioni, le condizioni economiche possano variare e diventare tali da non consentire un adempimento costante da parte dei debitori (famiglie e imprese), o addirittura può arrivare al punto da rendere completamente inadempienti gli stessi. Per evitare il rischio di inadempimento, o quanto meno per attenuarlo, scongiurando le conseguenze negative per il creditore, che si vede negare il pagamento e la restituzione di quanto dovuto (ad esempio, la banca che non ottiene la restituzione delle rate del mutuo o un fornitore che non ottiene il pagamento delle rate per la vendita del macchinario all’impresa), il nostro ordinamento ha previsto delle tutele. Tralasciando le tutele giudiziarie che è possibile attivare, è prevista la stipulazione di garanzie, a sostegno dell’adempimento di una obbligazione da parte del debitore, e che intervengono proprio nell’ipotesi in cui il debitore non riuscisse a mantenere fede al proprio obbligo di adempimento.

Tra le garanzie che il nostro Legislatore ha previsto, possiamo menzionare la fidejussione: il codice civile definisce la fidejussione all’art. 1936 come quel “negozio giuridico attraverso cui un soggetto, definito fidejussore, garantisce un’obbligazione altrui (quella del debitore), obbligandosi personalmente nei confronti del creditore”. Si tratta di un vero e proprio contratto con cui un soggetto terzo garantisce l’adempimento dell’obbligazione “personalmente”: è una forma di garanzia di carattere personale che si aggiunge alla obbligazione principale, cioè quella del debitore, e che rafforza la posizione del creditore, perché quest’ultimo potrà agire nei confronti anche del fidejussore nel caso di inadempimento. Cosa vuol dire ciò? Il creditore che constaterà l’inadempimento da parte del suo debitore, potrà aggredire prima di tutto il patrimonio del debitore e, in secondo luogo, qualora non riesca a trovare soddisfazione, potrà rivalersi sul patrimonio del fidejussore. È come se ci fossero, in sostanza, due debitori: la fejussione è un accordo tra il creditore e il terzo, che sorge in contemporanea alla nascita della obbligazione principale e che garantisce al creditore di non rimanere insoddisfatto. Dato che dipende dalla obbligazione principale, la fidejussione è valida solo se è valida il debito principale; il fidejussore, inoltre, è obbligato in solido con il debitore, a meno che non sia stato pattuito il beneficium excussionis: si tratta di una clausola che consente al fidejussore di veder aggredire, da parte del creditore insoddisfatto, prima il patrimonio del debitore principale, e successivamente il suo come patrimonio posto in garanzia.

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