Nullità del mutuo utilizzato dalla Banca per ripianare pregresse posizioni debitorie

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Nullità del mutuo utilizzato dalla Banca per ripianare pregresse posizioni debitorie

Con la decisione n. 20896/2019 pubblicata dalla prima Sezione dalla Corte di Cassazione il 5 agosto scorso, la Suprema Corte è tornata a “bacchettare” le Banche in ordine alla concessione di mutui fondiari ai clienti.

La vicenda
Nel caso oggetto della su richiamata pronuncia, la Banca presentava istanza di ammissione al passivo in via di prelazione ipotecaria fondata su due distinti mutui fondiari uno del settembre 2008 e l’altro dell’ottobre 2009. Il Giudice delegato respingeva la richiesta dell’Istituto bancario. Alla base del diniego il Magistrato poneva: “la nullità dei contratti di mutuo o, in ogni caso, in subordine, la simulazione dell’operazione bancaria in quanto il credito fondiario era stato concesso al fine esclusivo di ripianare pregressi crediti chirografari gravanti sulla Società fallita con la stessa Banca e non a trasferire la disponibilità delle somme in capo alla debitrice”.

L’Istituto di credito presentava opposizione ex art. 98 L.F. anch’essa respinta in quanto il Tribunale di Macerata accertava che le due operazioni di mutuo erano state entrambe finalizzate ad alterare la par condicio creditorum rendendo possibile la costituzione di un privilegio ipotecario in favore della Banca per crediti che in precedenza ne erano sprovvisti.

Vieppiù, l’istanza al passivo della Banca non avrebbe potuto in ogni caso essere accolta in quanto non vi era mai stata una effettiva erogazione delle somme in favore della Società fallita, requisito quest’ultimo essenziale al fine della configurabilità della fattispecie negoziale in discorso.

Procedendo ora a discorrere del ricorso in Cassazione presentato dall’istituto creditizio, i motivi di doglianza avverso il diniego del Tribunale di Macerata si possono riassumere in due punti fondamentali:
1) il Tribunale nel decreto impugnato avrebbe errato nell’escludere l’effettiva erogazione di somme in favore della cliente in quanto il finanziamento fondiario non è un mutuo di scopo;
2) il decreto opposto avrebbe dovuto ammettere in ogni caso il credito della Banca in misura pari agli importi corrisposti almeno in via chirografaria.

La Suprema Corte ha perentoriamente respinto il ricorso dell’Istituto di credito confermando integralmente la decisione del Tribunale di Macerata, mettendo in evidenza che il thema decidendum non atteneva minimamente alla finalizzazione della concessione del finanziamento ma ad un elemento ancora preliminare allo scopo dell’operazione ed ossia: all’assenza di effettiva erogazione, dalla quale non poteva che discendere ulteriormente l’impossibilità di ammissione anche in via chirografaria del credito vantato dalla Banca.

Chiarisce, infatti, il Collegio che “la struttura contrattuale del mutuo implica, la consegna di somme di denaro che ne costituiscono l’oggetto. E, per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefatte, comunque la traditio deve, per essere tale, realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario: farle muovere dal patrimonio dell’uno al patrimonio dell’altro, più precisamente. Appare chiaro, in effetti, che senza, dunque, il conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 c.c.) con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c., non potrebbe neppure ipotizzarsi la sussistenza di un obbligo restitutorio a carico del mutuatario”. Nell’ipotesi in trattazione, continua la Corte, “non sono idonei a configurare spostamenti di danaro, trasferimenti patrimoniali e consegne, il ripianamento di un debito a mezzo di un nuovo credito concesso dallo stesso Istituto di credito.”

La domanda a questo punto sorge spontanea: come considerare la fattispecie contrattuale in esame se non un mutuo? Orbene, secondo la prima Sezione, il contratto in questione altri non è che un patto di modifica del termine di scadenza dell’obbligazione e come tale non comporta novazione e, pertanto, non risulta idoneo a supportare da solo una domanda di ammissione al passivo che abbia ad oggetto la domanda di restituzione di somme aventi causa nell’atto di mutuo (diverso quindi sarebbe stato qualora il creditore avesse fondato la propria insinuazione sui titoli, ossia i contratti chirografari, che hanno costituito la vera causa dell’erogazione).

Naturalmente, è il caso di aggiungere per ragioni di completezza espositiva, qualora il mutuo abbia erogato somme superiori ai crediti pregressi chirografari, il mutuo si perfezionerebbe esclusivamente per gli importi in eccedenza.

Le conseguenze
Le conseguenze della pedissequa applicazione dei principi di diritto espressi dal giudice di legittimità sono molteplici. La prima, nonché quella di maggior impatto processuale, è data dalla possibilità di fermare l’esecuzione immobiliare promossa dalla banca sulla base di un titolo esecutivo nullo, quale è stato dichiarato il mutuo concesso per ripianare pregresse posizioni debitorie chirografarie (prestiti, saldi negativi di conto corrente ecc.). Salvare la propria casa potrebbe ora risultare possibile! Nei Tribunali sarà fatta vera giustizia? Ai giudici di merito italiani l’ardua sentenza.

Hai stipulato un mutuo a stato avanzamento lavori (c.d. SAL)? Potresti avere diritto alla restituzione degli interessi versati!

Nullità della clausola relativa agli interessi per superamento del tasso soglia usura categoria mutui con garanzia reale per i finanziamenti a stato avanzamento lavori

L’estate italiana non è stata bollente solo dal punto di vista climatico e politico, nel mese di agosto e settembre hanno visto la luce numerose pronunce della Corte di Cassazione destinate a creare un vero e proprio terremoto nel sistema bancario.

La sentenza n. 22380 pubblicata il 6.09.2019 scorso dalla I Sezione della Suprema Corte finalmente e definitivamente chiarisce la collocazione dei mutui a stato avanzamento lavori nella categoria dei mutui con garanzia reale con la conseguente applicazione del relativo tasso soglia.

Quanto appena esposto, nei fatti, determina l’usurarietà della maggior parte dei mutui a stato avanzamento lavori stipulati in Italia, considerando che il tasso soglia usura determinato con riferimento alla categoria mutui con garanzia reale è di gran lunga più basso rispetto a quello precedentemente utilizzato per la classificazione di tali operazioni finanziarie (la categoria “altri finanziamenti”).

La vicenda

Il Tribunale di Salerno, con decreto del 27 settembre 2017, accoglieva l’opposizione allo stato passivo proposta dall’Istituto di credito con riferimento ad un credito di € 3.973.553,39 nascente da un contratto di finanziamento sal con garanzia reale. Il Tribunale, accogliendo l’opposizione e ammettendo l’insinuazione in via ipotecaria per l’intero, osservava che il finanziamento in questione non poteva essere assimilato ad un mutuo in quanto l’erogazione del prestito non veniva effettuata in un’unica soluzione. Di conseguenza, in conformità a quanto previsto dalle istruzioni vigenti della Banca d’Italia, all’operazione doveva applicarsi il tasso soglia relativo alla categoria altri finanziamenti. Nel caso di specie quest’ultima “soglia” non risultava superata. La curatela del fallimento proponeva ricorso per Cassazione.

La decisione
La Suprema Corte, preliminarmente e a parer di chi scrive a ragion veduta, precisa che il punto nodale della questione non riguarda una “possibile disapplicazione dei decreti ministeriali con cui è stata operata la classificazione per categorie”, nonostante sia possibile “in linea di principio che i decreti ministeriali siano disapplicati in caso di loro riscontrata difformità rispetto alla legge”.

Fatta questa premessa, il collegio pone in evidenza come, ai sensi dell’art. 2, comma 1, L. n. 108/1996, al di là della morfologia delle singole operazioni, occorre considerare che ai fini della classificazione di una operazione nelle categorie previste i due parametri principali da vagliare siano i rischi e le garanzie stabilite dal contratto.

Questo in quanto, nel caso oggetto della controversia, non si discorre in ordine alla conformità dell’atto negoziale alla fattispecie contrattuale propria del mutuo ma esclusivamente della classificazione di una determinata operazione finanziaria all’interno delle categorie di operazioni indicate dal decreto.

Orbene, è evidente, tenuto conto dei rischi e delle garanzie stabilite dall’atto negoziale, l’omogeneità tra i contratti di finanziamento ipotecario a stato avanzamento lavori e quelli di mutuo; entrambi caratterizzati da una durata superiore ai 18 mesi e dalla costituzione di una garanzia reale.
Ulteriormente, qualora il finanziamento sia assistito da ipoteca viene meno la ratio dell’applicazione di un tasso di interesse più alto, praticato in misura maggiore in compensazione del maggior rischio che l’operatore bancario finanziario assume con l’erogazione del finanziamento. In siffatti atti negoziali, peraltro, si aggiunge il vantaggio per la Banca di non erogare la somma in un’unica soluzione ma gradualmente.

Le argomentazioni sopra esposte costituiscono, in sintesi, costituiscono la base per l’enunciazione del seguente principio di diritto espresso dalla I sez. della Corte di Cassazione: “In tema di interessi usurari, in caso di dubbio circa la riconducibilità dell’operazione all’una o all’altra delle categorie, identificate con decreto ministeriale, cui si riferisce la rilevazione dei tassi effettivi globali medi si devono individuare i profili di omogeneità che l’operazione stessa presenti rispetto alle diverse tipologie prese in considerazione dai detti decreti, attribuendo rilievo ai parametri normativi individuati dall’art. 2, comma I, l. n. 108/1996 e apprezzando in particolare quelli tra essi, che, sul piano logico, meglio connotino il finanziamento preso in esame ai fini della sua inclusione nell’una o nell’altra classe di operazioni; in conseguenza, tenuto conto dei rischi e delle garanzie prestate, deve ritenersi che il tasso soglia fissato per il finanziamento a stato avanzamento assistito da ipoteca quello previsto ratione temporis per i mutui con garanzia reale”.

Le conseguenze
Come già espresso nell’incipit, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è destinato, qualora venisse applicato dai giudici di merito, a scuotere il mondo bancario. Difatti, la possibilità di ottenere il rimborso di tutti gli interessi versati all’Istituto di credito e/o salvare il proprio immobile dall’esecuzione forzata, crescerebbe esponenzialmente. Nei Tribunali sarà fatta vera giustizia? Ai giudici di merito italiani l’ardua sentenza.

SUPERAMENTO DEL LIMITE DI FINANZIABILITA’ DELL’80%: NULLITA’ DEL MUTUO

SUPERAMENTO DEL LIMITE DI FINANZIABILITÀ’ DELL’80% DEL VALORE IMMOBILE OGGETTO DELLA GARANZIA: NULLITÀ’ DEL MUTUO FONDIARIO
(IL PUNTO DOPO LA SENTENZA N. 17352 DEL 13 LUGLIO 2017, L’ORDINANZA N. 6586 DEL 16 MARZO 2018, L’ORDINANZA N. 11201 DEL 9 MAGGIO 2018 E ORDINANZA N. 24138 DEL 3 OTTOBRE 2018)

1. LE “RAGIONI” DELLA TESI DELLA NULLITÀ’ DEL CONTRATTO.
Con una recentissima ordinanza del 3.10.2018, la n. 24138, la Corte di Cassazione ha statuito la nullità del mutuo fondiario in caso di violazione del limite di finanziabilità posto dall’art. 38 del TUB dichiarando “definitivamente superato l’indirizzo interpretativo che ne sancisce la validità”
La Suprema Corte ha motivato la professata statuizione attribuendo alla condotta posta in essere dall’Istituto di Credito la violazione dell’art. 1418, co. 1, c.c. in quanto finalizzata alla elusione del disposto di cui all’art. 2741 c.c..
Secondo il Giudice di legittimità, infatti, “il limite massimo di finanziabilità del credito fondiario, regola l’oggetto del contratto; non già la condotta precontrattuale o esecutiva del rapporto […] è requisito che attiene alla sostanza del rapporto […] caratteristica strutturale di base del mutuo fondiario”. In altre parole, quindi, il valore massimo finanziabile costituisce elemento essenziale del contratto tipico e come tale imprescindibile componente dell’oggetto del negozio.
Nello specifico, ciò che viene ravvisata è la mancanza dell’oggetto del contratto tipico da cui deriva la perdita della sua qualifica di “fondiario”.
Vieppiù, nella pronuncia in commento viene denunciata la violazione della norma imperativa di cui all’art. 2741 c.c. che statuisce uno dei principi cardine del nostro ordinamento: la c.d. par condicio creditorium. (“i creditori hanno uguale diritto di ottenere soddisfazione delle proprie pretese sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”).
E’ indubbio, infatti, che i vantaggi principali del credito fondiario si rinvengano nelle sottrazioni revocatorie di cui all’articolo 39, comma 4 e nella disciplina del “procedimento esecutivo” di cui all’articolo 41 TUB e, quindi, siano poste a completo favore dei creditori fondiari.
Da ciò deriva che la causa del contratto risulti illecita, in quanto l’atto negoziale tipico è finalizzato a far conseguire all’Istituto di Credito una causa di prelazione illegittima, sproporzionata nonché ulteriori vantaggi appena richiamati, in frode agli altri creditori. Tale condotta risulta, pertanto, a parere dei Giudici di legittimità, contraria all’ordine pubblico economico.

La contrarietà all’ordine pubblico economico della violazione in esame risulta, altresì, evidente in considerazione della ratio che regge l’istituto giuridico del mutuo fondiario. Tale fattispecie contrattuale, infatti, “concede” agli Istituti di Credito di poter costituire la causa di prelazione esclusivamente nei limiti stabiliti dalla legge. Ciò in quanto la norma effettua una ben precisa valutazione (inconfutabile se non dalla legge stessa) del futuro “rientro” dell’erogato.

Tale scelta del legislatore è stata posta sia a tutela degli Istituti di Credito ed, infatti:
“Il mutuo fondiario e’ operazione che si connota per concentrare la copertura del rischio di rientro dell’erogato sul solo immobile “mobilizzato” e contestualmente iscritto in ipoteca di primo grado. In via correlata, la peculiarita’ dell’operazione, che e’ forte, sta nel suo definitorio prescindere – per la copertura di detto rischio (e, quindi, per l’effettivo accesso a questo credito) – da considerazioni di ordine patrimoniale ex articolo 2740 c.c. e/o di ordine reddituale sul mutuatario debitore.

La prescrizione normativa del limite di finanziabilita’ risponde, dunque, all’esigenza di escludere, di conseguenza, la pratica possibilita’ di operazioni che – secondo la scelta di politica economica adottata dal legislatore – non presentano ex ante sufficienti prospettive di effettiva fattibilità’ e buon esito….”

(Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 9 maggio 2018, n. 11201)

sia a tutela della parte mutuataria:
….sia di escludere operazioni che espongono il mutuatario debitore ai rischi espoliativi (quanto, in specie, alla residua parte del suo patrimonio) ovvero di pura sorte. Nel tutelare il debitore da operazioni di rischio per lui eccessivo (ancora oggi si trova, in dottrina, l’affermazione che l’oggettivo interesse del mutuatario sarebbe comunque quello di ottenere il maggior credito possibile: non si vede tuttavia la ragione, prima di tutto normativa, per cui un soggetto dovrebbe assumersi impegni che non potra’ permettersi di onorare) e i suoi creditori altri” (Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 9 maggio 2018, n. 11201).

2. CONSEGUENZE DELLA NULLITÀ’ DEL MUTUO FONDIARIO. POSSIBILE CONVERSIONE IN UN MUTUO IPOTECARIO ORDINARIO. IL CAPITALE EROGATO DEVE ESSERE RESTITUITO

Una volta acclarato che il superamento del limite di finanziabilità del contratto di mutuo comporti la nullità del negozio rimane da appurare quali siano le conseguenze scaturenti da tale declaratoria.
Una parte della Giurisprudenza di merito propende per la conversione “automatica” del contratto di mutuo fondiario nullo in un contratto di mutuo ipotecario ordinario.
Orbene, come ben messo in evidenza dalla sentenza n. n. 17352 del 13 luglio del 2017 della Corte di Cassazione, il disposto di cui all’articolo 1424 c.c. statuisce che “il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso”.
Pertanto, non risulta corretto l’assunto della conversione “automatica”, in quanto il mutuo fondiario è una fattispecie contrattuale ben distinta dal mutuo ipotecario ordinario, teso a porre in essere un’operazione diversa nella forma, nei contenuti e negli effetti.
La Suprema Corte, nella ordinanza su citata del 9 maggio 2018, ha – infatti – chiarito che “se dalle evidenze documentali emerge che il contratto a cui hanno dato corso le parti si intesta in un mutuo fondiario significa che queste hanno inteso e voluto propriamente porre in essere non un qualunque mutuo, bensì’ un fondiario.”
Quali sono quindi gli elementi su cui indagare per verificare se un mutuo fondiario possa effettivamente essere convertito in un mutuo ipotecario ordinario?
“Ha rilevato la pronuncia di Cassazione n. 6586/2018, che per potere procedere all’effettiva conversione di un fondiario nullo in un mutuo valido occorre riguardare all’intento pratico oggettivo, tratto cioe’ dal puntuale esame del contesto delle circostanze proposte dal caso concreto, che viene a contraddistinguere l’operazione che e’ stata posta in essere.
L’indagine andra’ dunque a verificare se il credito sia stato erogato nella consapevolezza, o meno, del fatto che il valore dell’immobile non raggiungesse lo scarto richiesto dalla legge ovvero pure se il conseguimento dei peculiari “vantaggi fondiari” abbia costituito la ragione unica, o comunque determinante, dell’operazione. Secondo il preciso disposto dell’articolo 1424 c.c., l’indagine sara’ effettuata con riferimento a ciascuna delle parti dell’operazione; e tenuto conto, tra l’altro, che la misura del credito da erogare e la dimensione dei “privilegi” voluti dal mutuante costituiscono, per regola, proprio i momenti topici delle trattative relative al genere di operazioni di finanziamento di cui si sta discorrendo.”
E’ esclusa, quindi, la conversione automatica ma non è invece preclusa la possibilità di provare con ogni mezzo la sussistenza di tutti gli elementi, sia soggettivi che oggettivi necessari alla conversione del negozio fondiario in quello ipotecario ordinario.
In tema di onere probatorio, a parere di chi scrive, al mutuatario che voglia far valere la nullità del contratto spetterà esclusivamente provare il suo interesse ad agire ed ottenere la declaratoria di nullità ai sensi dell’art. 100 c.p.c., mentre a carico della Banca graverà l’onere di provare gli elementi che possano determinare la convertibilità del contratto; tanto in quanto, come espresso dalla Suprema Corte nell’ordinanza del 9.05.2018, in ordine al valore probatorio del dato formale, “se dalle evidenze documentali emerge che il contratto a cui hanno dato corso le parti si intesta in un mutuo fondiario significa che queste hanno inteso e voluto propriamente porre in essere non un qualunque mutuo, bensì’ un fondiario.”.

3. QUANDO LE “ULTERIORI GARANZIE” PRESTATE “SALVANO” IL CONTRATTO DALLA DECLARATORIA DI NULLITA’?
Ulteriormente, occorre mettere in evidenza che ai sensi della Delib. CICR dell’aprile 1995, emanata in applicazione della norma dell’articolo 38, comma 2 TUB, possono fungere da “garanzie integrative” ai fini dell’innalzamento del limite massimo di finanziabilita’ dall’80% al 100% solo determinate categorie – o tipologie – di garanzie, che siano altresi’ ritenute “idonee” sulla base di criteri in generale predisposti dalla Banca d’Italia.
Tra le tipologie di garanzie utilizzabili in proposito – come indicate dalla Banca d’Italia (in G.U. n. 76, 2 aprile 2005) sulla scorta della disposizione della Delib. CICR – non rientra la fideiussione prestata da semplici societa’ a responsabilita’ limitata o da persone fisiche. Del resto, il livello di affidabilita’ patrimoniale, che risulta coerente alle tipologie di garanzie integrative, si attesta sulla linea di quella data dallo Stato, dalle compagnie di assicurazione e da talune delle imprese disciplinate dal testo unico bancario (cfr. sul punto la gia’ citata pronuncia di Cass., n. 9079/2018).

4. DECLARATORIA DI NULLITA’ DEL CONTRATTO DI MUTUO FONDIARIO OBBLIGO DEL MUTUATARIO ALLA RESTITUZIONE DEL SOLO CAPITALE
Infine, l’ordinanza del 9.05.2018 chiarisce che “l’accertata nullita’ del titolo negoziale manifesta la mancanza di giustificazione causale della permanenza delle somme erogate nel patrimonio del mutuatario, con connessa applicabilita’ della norma dell’articolo 2033 c.c..”
Da ciò si evince che, qualora venisse accertata la nullità del contratto di mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità e non si dovessero ravvisare elementi idonei a consentire la conversione in un mutuo ordinario ipotecario, il mutuatario dovrebbe restituire all’Istituto di Credito esclusivamente il capitale erogato.